Un nuovo album che si sta svelando a poco a poco. Si tratta dell’ultimo progetto artistico di Salice, uscito venerdì 13 dicembre in radio e su tutte le piattaforme digitali con il singolo “Colazione”.
Il cantautore, napoletano trapiantato a Milano, che lo scorso agosto ha partecipato allo Sziget Festival, dopo il complicato rapporto a due di “Santi” propone un brano complesso, dal tema impegnativo ma trattato con leggerezza.
“Colazione parla della morte – spiega Salice – Del corpo e della morte. I micro e i macro ricordi sui quali si basa la propria esperienza della realtà sono la realtà stessa. Con la morte il mondo crolla, scompare, implode. Colazione vuole essere la forma canzone, si spera, accessibile di un passo del Faust di Pessoa, che descrive magistralmente come tutte le nostre interpretazioni della realtà siano in realtà errori di interpretazione, in forme diverse, tutte equidistanti dalla realtà oggettiva”.
Il brano è edito da Freecom/Common Music. La produzione artistica è di Pietro Paletti, mentre il Mastering è stato realizzato da Andrea Valfrè presso gli studi di Synchro Lab. Hanno suonato nel brano: Salice-Carmine Esposito (voce, chitarre), Simone Piccinelli (tastiere e chitarre), Pietro Paletti (basso), Matteo Arici (batteria).
Salice è l’opening act in molte tappe del tour invernale di Gio Evan. Dopo Milano, Napoli, Firenze, Salice sarà a Bologna (Locomotiv Club, 16 gennaio), Roncade (New Age Club, 17 gennaio). Tutte le tappe del tour sono raccontate da Salice in un diario di bordo, pubblicato da Brainstorming, che sta riscuotendo un bel successo di pubblico.
Un nuovo album che si sta svelando un po’ alla volta. Cosa ci puoi raccontare di questo lavoro?
Durante tutto l’anno scorso ho avuto l’urgenza di scrivere delle cose. Le ho fatte ascoltare ad amici e colleghi, che mi hanno suggerito di tentare questa avventura. Abbiamo scelto una ciotola di canzoni e le abbiamo date in gestione a Pietro Paletti, che ha tirato fuori da questo mucchio di accordi disorganizzati le canzoni nella loro forma definitiva che puoi sentire su Spotify.
Dietro ogni canzone c’è una storia. Com’è nata Santi?
Santi è nata in un momento di difficoltà di relazione con me stesso, e quindi con tutti gli altri. A un certo punto della mia vita ho messo in dubbio tutto quello che avevo creato fino ad allora perché non riuscivo più a vedere tutta questa pianta che radici avesse. Ho sentito l’esigenza di farmi male per vedere se il mio corpo ci fosse ancora. Dopo aver smontato completamente il puzzle e averlo rimesso insieme, sono riuscito a rimetterlo in cornice. Santi, tra l’altro, è stata la canzone zero di questo progetto.
E Kappa?
La scrittura di Kappa è partita invece da una struttura prima di tutto musicale. In un raro momento in cui mi esercitavo al pianoforte, il ritmo strascicato e dimesso e l’armonia poco dinamica che stavo eseguendo (o, meglio, provando ad eseguire) mi hanno fatto venire in mente alcune immagini di quando lavoravo di notte ai banchetti infodrugs. Una volta incontrai un uomo in stato di paranoia, sosteneva che la sostanza che ebbe assunto non “salisse”, mentre era evidentemente in stato alterato. Era così concentrato sull’azione che desiderava ottenere dalla sostanza che non riusciva a cogliere ciò che realmente stava avvenendo. Il paragone con situazioni di vita lavorativa, artistica, familiare è arrivato istantaneamente.
Su Brainstorming tieni una rubrica che sta ottenendo molta visibilità. Cosa rappresenta per te la scrittura?
Per me la scrittura è il modo per osservare i miei tragitti dalla prospettiva bird-eye tipica di alcuni videogiochi sportivi. Sono abituato, da educatore, a stilare ogni inizio e fine anno scolastico due documenti essenziali: l’osservazione iniziale e l’osservazione finale. Sono considerazioni raccolte sul campo. Grazie a questo tipo di scrittura riflessiva, atteggiamenti che sembravano tasselli isolati magicamente si scoprono collegati tra loro, sguardi e gesti all’inizio insignificanti si trasformano in chiavi per aprire porte che spingendo restano chiuse. Si può finalmente osservare tutto da lontano, che è un privilegio non concesso quando si è nella mischia spada alla mano.
Ti senti più cantautore o scrittore?
Credo che le due cose coincidano. Il cantautore è uno scrittore che utilizza uno dei tantissimi linguaggi con cui la scrittura si manifesta. Comunque, per rispondere alla tua domanda, non mi sento nessuno dei due. E non intendo dire che mi veda a metà strada tra le due figure o che mi senta un particolare ibrido. Credo solo di utilizzare alcuni metodi espressivi che fanno parte di entrambe le arti per raccontare la mia piccola visione della realtà. Cantautore e Scrittore sono termini importanti, che associo a ciò che ascolto e a ciò che leggo. Ecco: mi sento Ascoltatore e Lettore.
Da Napoli sei arrivato a Milano per la musica. Una scelta importante. Cos’hai lasciato e cos’hai trovato?
Certo, la musica è stata una forte fattore di spinta, ma non è stato l’unico. Per fortuna, il pretesto fondamentale è stato il fatto che mi fossi innamorato di una milanese, che è anche la mia attuale compagna. A Napoli facevo l’animatore volontario coi bambini di quartieri che non sono proprio sulla via principale. A Milano ho scoperto che l’animatore è una figura professionale, e che a far sedere cinquanta bambini con uno sguardo è il mio superpotere. Ho anche scoperto, però, di averlo acquisito rotolandomi coi ragazzini negli stanzoni degli oratori napoletani, come quando il camion che trasportava scorie radioattive ha investito Daredevil potenziandogli gli i sensi o l’inquinamento del Tevere ha dato la superforza a Claudio Santamaria in Lo chiamavano Jeeg Robot.
Come hai scelto questo nome d’arte?
Quando abbiamo dato via a questo progetto non avevamo un nome, e Carmine Esposito non ci sembrava così accattivante. Così mi hanno consigliato di fare un brainstorming per trovare un nome abbastanza evocativo. Tra alcune cose davvero brutte è sbucato fuori questo Salice, che è un albero che vedevo sempre sulla via per andare al mare nelle vacanze passate nella ridente Mondragone. Avrò avuto otto anni. Poi da grande ho scoperto che si trattava di un eucalipto, ma mi piace pensare fosse davvero un salice piangente.
In questo momento sei in tour con Gio Evan. Come sta andando questa esperienza?
È un’esperienza davvero incredibile. Grazie al diario che scrivo per Brainstorming Magazine riesco a fare ogni volta il punto della situazione, dare un nome a quelle emozioni che nel momento in cui ti assalgono si mescolano tutte in un calderone dagli odori irriconoscibili. L’ansia sta diventando mia fedele amica, mi abbraccia ogni sera appena il fonico dà l’okay. Sento comunque di gestire il palco sempre meglio a ogni concerto.
Progetti in cantiere?
Adesso mi sto concentrando su questo tour, dove però propongo anche nuove canzoni che, secondo me, nasceranno nella loro forma definitiva tra un bel po’ di tempo. La scrittura di materiale sempre nuovo è la costante delle mie giornate ordinarie. Secondo me, non fare il musicista di mestiere mi permette di vivere con molta serenità le ore nelle quali mi dedico all’ascolto di nuova musica e alla produzione.