di Aldo Macchi
Nei giorni in cui il sito dell’INPS è preso d’assalto per poter usufruire del fondo da 600 euro, ci sono ancora troppe persone per le quali non è previsto, al momento, alcun tipo di intervento economico: gli intermittenti del mondo dello spettacolo. Una condizione che sta cambiando, con una politica che si è dimostrata aperta al dialogo, grazie anche alla grande adesione che fin da subito ha avuto la campagna di raccolta firme lanciata da Fondazione Centro Studi Doc e la successiva campagna contrassegnata dall’hashtag #nessunoescluso.
“La musica non sposta voti”, “C’è troppo sommerso nel mondo dello spettacolo”, “è difficile far passare come un vero lavoro quello dei concerti”, “se tutti si uniscono da vera categoria, si può davvero muovere qualcosa”, “lavoriamo per dare ad aprile quel che non abbiamo dato a marzo”. Sono queste le frasi che possono fare da filo conduttore della trasmissione Tempi Diversi, andata in onda nei giorni scorsi su Radio Popolare (podcast disponibile qui) e che ha visto protagonisti il presidente di Doc Servizi, Demetrio Chiappa, e il senatore del Partito Democratico, Roberto Rampi.
“Quando oggi pensiamo a un concerto, c’è da pensare a chi ha portato il palco, chi fa funzionare le luci, chi ha portato quelle luci, chi le ha montate, chi fa funzionare il coro, chi fa il coro, la sua famiglia”, inizia così, con la descrizione sintetica di tutta la filiera che c’è dietro un semplice concerto ad opera di Davide Facchini, l’intervista doppia. Un’introduzione perfetta per parlare del tema dello stop agli eventi e di tutto quello che comporta.
I numeri della categoria dello spettacolo
“Abbiamo stimato – spiega Demetrio Chiappa – che in tutto il mondo dello spettacolo, che lavora con l’economia ordinaria e non finanziata dal Cus, ci siano 380mila professionisti, di cui almeno 300mila in cooperativa o in piccole formazioni teatrali”. Le sue parole non sono solo a tutela dei professionisti di Doc Servizi perché “rappresento ShowNet, una rete di cooperative dello spettacolo che si è messa insieme per rappresentare tutti i professionisti. Forse in pochi sanno che sono così tanti i lavoratori che hanno scelto la cooperativa per gestire la propria gestione lavorativa”.
Un dettaglio, questo, non di poco conto. Non per valorizzare il cooperativismo in sé, piuttosto per capire quante persone sono attualmente lasciate fuori dai provvedimenti di sussistenza sociale. Perché se 300mila sono, in generale, i lavoratori in cooperativa, 200mila sono quelli con contratto intermittente: “Il lavoro di queste persone è intermittente, come i contratti a chiamata, una condizione in bilico che è rimasta fuori dalle tutele adottate fino ad ora”.
Il lavoro per l’immediato
Un quadro chiaro, che ha permesso a Roberto Rampi di fare un punto sullo stato dei lavori in corso. “Non essendo riusciti, in questi anni a regolamentare meglio il sistema del lavoro dello spettacolo, oggi sono più deboli rispetto ad altre categorie”. Un concetto spiegato in modo schietto poco dopo: “Se dico che sono andato a trovare un’azienda dove gli operai sono in cassa integrazione, ricevo molto più sostegno dalla gente rispetto a quando dico che lavoro a una legge per i lavoratori dello spettacolo. Perché questi lavori sono spesso fatti con passione e la passione viene fraintesa come un hobby”.
“È un sentire diffuso questo, c’è tanta gente che la pensa in questo modo e tanta gente vuol dire anche tanti politici”. Oltre il danno anche la beffa quindi? Il significato di tutto questo significa che i lavoratori dello spettacolo sono invisibili e non tutelati perché non in grado di spostare voti? Non proprio.
“Non dobbiamo permettere che questi lavoratori vengano abbandonati, perché abbiamo bisogno di loro” incalza il senatore. “Questa categoria dovrà ripensarsi, avrà davanti un tempo complicato per tornare a lavorare come prima. Ma tutti gli altri devono capire che ciò che ora vedono solo in televisione esiste grazie a quello che fanno queste persone”.
Concretamente, i binari su cui si deve e si sta lavorando sono diversi: “Uno è normativo, con un riconoscimento della categoria, che è più difficile. L’altro invece è emendativo e ci stiamo lavorando. Rispetto al 6 marzo siamo riusciti a garantire una serie di interventi per questi lavoratori, come la cassa integrazione e la cassa in deroga, ma anche il bonus di 600 euro che andrà anche a questo settore per chi ha versato all’ex Enpals”.
Gli obiettivi per il futuro
Si lavora già al futuro prossimo: “Stiamo lavorando molto bene insieme alle realtà del settore, come Doc Servizi ma non solo, e vogliamo che nel decreto di aprile si possa recuperare anche questa tipologia di lavoratori e permettergli di avere un sostegno anche per il mese di marzo”. Ma un pensiero va anche al futuro un po’ più lontano: “Questa è l’occasione per mettere ordine sul lavoro dello spettacolo, perché questo è un lavoro. Dobbiamo riuscire a fare questo salto culturale”.
E se queste sono le basi, tanto vale mettere tutto sul piatto e ripartire da basi solide, come si è fatto con i tecnici. Anche allora fu come conseguenza a una tragedia, come ricorda Demetrio Chiappa: “Dopo la morte di Francesco Pinna (morto per il crollo del palco del tour di Jovanotti nel 2011 ndr), il mondo dei tecnici ha deciso di puntare molto sulla sicurezza e sulla legalità sul lavoro. Il lato musicale, purtroppo, non lo ha ancora fatto. La difficoltà di contare quanti artisti ci siano in Italia è dovuto al fatto che troppa economia musicale è ancora sommersa”. Un assist per citare una metafora utilizzata Emanuela Bizi, segretario Nazionale Cgil: “Il mondo dello spettacolo era una palude, ora che l’acqua si è seccata, si vedono tutti gli scheletri: non lasciamoli affondare di nuovo”.
“Disgregati non siamo in grado di dare un numero a una categoria che rappresenta una colonna dell’economia di questo paese. Abbiamo contato che ogni anno c’è un sommerso che va dai 3 ai 5 miliardi di euro: con un impegno maggiore oggi ci sarebbero i fondi per aiutare tutti”. Ma è nel momento delle difficoltà che la categoria ha già dimostrato di sapersi riconoscere e di sapere contare. “Mai come in questo momento i nostri appelli hanno visto un insieme di professionisti che si sono uniti per fare fronte comune e muoverci insieme per fare un disegno unico e fare della musica un pilastro dell’economia in modo definitivo”.
E se questa sfida si riuscisse a vincere, non ci sarebbe nessuno tra i membri del pubblico di un concerto che non sia in grado di riconoscere che chi sale su quel palco, chi ci sta dietro e anche chi gli ha staccato il biglietto di ingresso, sta svolgendo un lavoro. Bisogna continuare sulla strada della collaborazione, per riuscire a completare un percorso iniziato diversi anni fa e che ora può godere del sostegno di più parti, anche di quello della politica.