Andrea Leanza e Federica Castelli, make up artist e prosthetic designer, hanno guidato il team che ha lavorato al make-up di Pierfrancesco Favino nel film Hammamet di Gianni Amelio, trasformando l’attore in Bettino Craxi.
Leanza ha appena ricevuto la nomination ai David di Donatello 2020 come miglior truccatore: «È un onore aver partecipato a tre dei cinque film in nomination per il miglior trucco e, in due di questi, aver avuto un ruolo così importante: key artist per “Il Traditore” di Marco Bellocchio (trucco applicato per conto del designer Lorenzo Tamburini) e capo trucco assieme ai colleghi Roberto Pastore, Lorenzo Tamburini e Valentina Visintin per “Il Primo Re” di Matteo Rovere. Siamo emozionati e felici che sia stato riconosciuto l’immenso lavoro e la passione che ci abbiamo messo. Inoltre mia madre è contenta che finalmente sarò costretto a vestirmi elegante per la serata!».
Andrea e Federica, soci della Filiale di Milano, ci hanno svelato i segreti del loro lavoro:

Come nasce la vostra passione per il make up e gli effetti speciali?
Andrea: Da bambino, a partire dai travestimenti di carnevale fino alla creazione di piccole sculture e scherzi goliardici in famiglia e a scuola. Crescendo, questo gioco è diventato sempre più serio e da un semplice “hobby” si è trasformato in un vero lavoro. Per lo più sono autodidatta.
Federica: Per molto tempo non credevo di averne le qualità, di conseguenza la mia passione si è sviluppata tardi. Ho sempre amato far andare le mani e costruire cose, ma non pensavo che un giorno questo sarebbe diventato un lavoro. L’aspetto che mi ha affascinata e attratta in questo mondo è l’incredibile esperienza della trasformazione da un uomo a un personaggio, dalla plastilina alla pelle di una nuova figura.
Come si è evoluto il vostro percorso artistico?
Andrea: Ho sempre avuto le mani in pasta, con plastilina e colori, e crescendo ho sperimentato sempre più materiali. Da adolescente ho frequentato il liceo artistico dove sia compagni sia professori si sono accorti di questa mia passione, al punto che uno di essi, all’età di 17 anni, mi propose un lavoro, il primo, nel campo del teatro, per realizzare il trucco del gobbo di Notre Dame per una compagnia amatoriale. Da lì tanta pratica, tanto studio su VHS e libri (all’epoca internet non c’era), e poi la partecipazione a fiere di settore dove venivo a conoscenza di nuovi prodotti, tecniche e professionisti del campo. Con alcuni di loro ho avuto poi la fortuna di lavorare e di imparare molto.

Federica: Non ho fatto dei veri e propri studi artistici fino a circa 25 anni. Prima ho frequentato una scuola per videomaker, poi un percorso nel reparto della macchina da presa. Ho imparato molto da Elisa Ferrotto, un una bravissima illustratrice con la quale ho collaborato, e poi da Andrea. Lui ha trovato del potenziale in me e mi ha dato la possibilità di mostrarlo. Per il resto tutto quello che so, l’ho imparato lavorando e facendo esperimenti a casa e frequentando ogni tanto dei corsi.
Quali sono le esperienze artistiche che ricordate con più soddisfazione?
Andrea: “World war Z”: era la prima volta che venivo contattato per lavorare a un progetto internazionale. Poi “Il racconto dei racconti” e “Il primo Re”. Nel primo caso ho lavorato come co-supervisore delle creature assieme a Gigi Ottolino per conto di Makinarium, mentre nel secondo ho avuto il piacere di co-dirigere il reparto trucco e prosthetics come co-designer assieme ai colleghi Roberto Pastore, Lorenzo Tamburini e Valentina Visintin. Negli ultimi anni poi ho avuto svariate occasioni, sia all’estero sia qui in Italia, per cimentarmi con trucchi di somiglianza e invecchiamento, che rappresentano una vera e propria sfida per chiunque faccia questo mestiere. Tra gli altri ricordo con piacere “Amundsen”, per il quale ho scolpito le protesi per il personaggio di Oscar Wisting, la serie “Genius-1” dove ho lavorato a J. Edgar Hoover, e infine “Hammamet”, con la trasformazione di Pierfrancesco Favino in Bettino Craxi.
Federica: Direi decisamente “Resident Evil VI”, dove ho lavorato per la ditta Cosmesis in Sud Africa. Ero ancora una super novellina e lì ho anche trovato persone meravigliose, grandi professionisti che porto sempre con me. Altro lavoro che ricordo con piacere è “Il Primo Re” di Matteo Rovere. Eravamo un team tutto all’italiana: con poco sonno e tanto fango abbiamo realizzato un prodotto che in Italia non si riteneva possibile. E posso dire la stessa cosa di “Hammamet”. Forse la sfida più intensa fino a quel momento.

E il momento di svolta nella tua carriera ?
Andrea: Sicuramente il momento in cui ho iniziato a collaborare con gli artisti all’estero è stato di vitale importanza e mi ha permesso di fare passi da gigante in breve tempo. Poi negli ultimi anni il passaggio dall’essere “solo”, all’avere una vera e propria squadra di persone.
Federica: Il più grande momento di svolta per me è stato senza dubbio avere avuto l’occasione di lavoro con Elisa e Andrea. Questi momenti hanno segnato l’inizio dell’esplorazione e della crescita di un mondo che prima non mi sembrava nemmeno considerabile. Poi senza dubbio “Hammamet”: sono passata da assistente a condividere il peso e il privilegio di gestire un intero progetto in tutte le sue fasi.
Cosa significa essere make-up artist nel campo degli effetti speciali oggi?
Andrea e Federica: Pensiamo che oggi sia uno dei momenti migliori per essere uno special makeup artist in Italia. Gli effetti qui esistono da tanto, ma solo negli ultimi anni stanno riprendendo vita. I produttori e i registi italiani voglio sperimentare e stanno loro stessi capendo che qui ci sono delle eccellenze e che non è necessario rivolgersi sempre all’estero. Questo mestiere continua a evolversi, specialmente perché con l’avvento della tecnologia 4k e superiori, quello che dobbiamo realizzare richiede un continuo adattamento e una continua sperimentazione per raggiungere risultati che possano reggere il confronto con una sempre più alta definizione dell’immagine sullo schermo. Questo si traduce in continue sfide fatte di test di laboratorio e di problemi a cui trovare soluzioni. Questo rende il nostro lavoro non solo bello ma divertente e soprattutto stimolante.
Recentemente avete lavorato in una produzione cinematografica importante, trasformando Pierfrancesco Favino in Craxi. Come avete realizzato questo make up?

Andrea e Federica: Abbiamo passato molti mesi insieme a Pierfrancesco. Realizzare un make up di questo tipo è un lavoro lungo e con molte sfaccettature. Di sicuro la sfida è stata lo studio scultoreo, attraverso le fotografie e i video di Craxi e la fisionomia di Favino. Questo ovviamente in particolare per Andrea che ha creato 4 diverse varianti del trucco per potersi avvicinare sempre di più. Questo risultato è stato possibile anche e soprattutto con i feedback di Pierfrancesco e di Gianni. Per Hammamet, abbiamo realizzato 5 make-up test e poi applicato altre 39 volte il trucco nei relativi giorni di riprese. Ogni applicazione richiedeva almeno quattro ore e la sera, dopo il set, era necessaria circa un’ora per lo strucco. Le protesi non sono riutilizzabili quindi abbiamo dovuto produrre più di 400 pezzi per coprire l’intero periodo di lavorazione del film. Mentre noi e le nostre assistenti Elisabetta Zanieri e Denise Boccacci eravamo in Tunisia, nel nostro laboratorio a Saronno c’era una vera e propria catena di montaggio, capitanata da Sendy Kumalakanta, che non ha mai smesso di produrre protesi che ci venivano spedite settimanalmente sul set.
