I freelance con partita Iva in Italia sono 3,6 milioni, pari al 14% della popolazione italiana. Se si pensa che solo il Veneto conta 5 milioni di persone, si capisce quanto questa cifra sia alta. Talmente alta che l’Italia è anche il primo paese d’Europa per numero di freelance, come scritto nelle recenti classifiche stilate da Eurostat.
Il profilo del freelance con partita Iva
Dagli anni ’90 si osservano cambiamenti nel mondo del lavoro che portano alla crescita del numero di lavoratori autonomi. In particolare, le statistiche a livello europeo mostrano che negli ultimi 10 anni c’è stata in Europa una crescita dell’80%. Si tratta generalmente di lavoratori con un alto livello di formazione e che nel mercato lavoro si muovono creando le proprie opportunità in autonomia e gestendo il proprio tempo con flessibilità.
Anche se l’esistenza dei freelance è funzionale alla continua terziarizzazione dell’economia, i lavoratori con partita Iva incontrano crescenti difficoltà. Prima tra tutte un basso reddito, stimato sotto i 30.000 euro. Questo numero così basso è spesso legato a due questioni: la tassazione e la competizione.
In Italia, ma non solo, il problema della tassazione è duplice. Da un lato, la tassazione per chi ha una partita Iva è piuttosto alta soprattutto a fronte di una carenza dei servizi. Dall’altro lato, il problema è la scelta di restare entro il regime forfettario (e nel residuale regime dei minimi). Un regime che anche se offre una bassa tassazione per contro limita l’opportunità di crescita e spesso porta a rifiutare anche del lavoro per restare nei limiti.
Al regime forfettario si collega anche il problema della competizione tra professionisti, spesso al ribasso proprio per i limiti legati alla fiscalità. Un insieme di difficoltà in crescita nel momento in cui i freelance, spesso “polverizzati” sul mercato del lavoro, si scontrano anche con l’isolamento sul mercato e l’assenza di rappresentanza.
Ma se queste sono le difficoltà, quali le soluzioni?
Una su tutte: l’incontro e la coalizione con persone in condizioni simili. Infatti se il lavoratore indipendente da solo non può fare molto per cambiare la propria situazione, insieme ad altri lavoratori nella stessa situazione ha decisamente più voce in capitolo. Anche per questo motivo in Italia e nel mondo continuano a fiorire varie forme di coalizione tra i freelance che nascono per rispondere a diverse esigenze.
Un esempio è il grande numero di siti internet gestiti da lavoratori indipendenti o associazioni di professionisti. Realtà che nascono con l’obiettivo di incontrarsi almeno virtualmente e combattere così l’isolamento e magari anche alcune battaglie istituzionali. Questo è, ad esempio, il caso italiano di Acta, l’associazione dei freelance. Altri esempi sono le esperienze che permettono di condividere spazi effettivi, come il cohousing, il coworking o i FabLab. O ancora le pratiche di fundraising diffuso, come il crowdfunding.
L’imprenditoria collaborativa
Non mancano nemmeno gli esempi di collaborazione tra lavoratori autonomi che possono portare alla nascita di pratiche di imprenditoria collaborativa. Esse raggruppano i professionisti dentro una stessa entità giuridica, dove ognuno può esercitare la propria attività individuale in un quadro collettivo e proteggersi dalla precarietà e dall’isolamento. In questo contesto rientrano le forme di organizzazione cooperativa. Di esse fa parte non solo Doc Servizi, ma anche le cooperative che si situano nell’emergente movimento del platform cooperativism.
Si tratta in tutti i casi di movimenti di aggregazione dal basso che riflettono quanto i primi a cercare di trovare soluzioni ai problemi propri dei freelance siano proprio i freelance stessi. L’obiettivo di queste coalizioni è di collaborare con altri professionisti che si trovano nella stessa situazione, per condividere informazioni e buone pratiche. Ma, sempre più spesso, anche per negoziare nuove condizioni di lavoro e sentirsi più forti nel rapporto di lavoro con il committente che spesso è invece molto asimmetrico e sbilanciato sul secondo.
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