Il clown è una delle figure più ricorrenti e conosciute nel mondo del teatro, capace di rappresentare emozioni e gestualità dalle più comuni e quotidiane alle più intense e drammatiche. Francesco Tonti ne ha fatto una seconda pelle, tra spettacoli, laboratori e corsi di formazione, integrandola in linguaggi nuovi e situazioni differenti.
Diplomato alla Scuola di Teatro Galante Garrone di Bologna, cofondatore della Compagnia dei Ciarlatani che ha operato in Italia e all’estero (portando il sorriso anche in zone di povertà e disagio come Kenya, Bosnia, Deserto del Sahara e Palestina tramite il progetto “Ciarlatani senza frontiere”) docente presso l’Ater Balletto (Reggio Emilia), l’Università di Bologna e la stessa Galante Garrone, ha calcato le scene con artisti quali Lella Costa, Alessandro Bergonzoni e Gianmaria Testa.
In vista del debutto il 21 aprile al Teatro degli Atti di Rimini con “Fino a 100”, ripercorriamo con lui tappe e progetti.

La tua carriera inizia nel 1998 e parte dal teatro per poi integrare giocoleria e clownerie: come nasce questo interesse?
A otto anni decisi di fare l’attore. Il tempo intercorso da allora fino alla maggiore età rappresenta una parentesi, come una grande attesa. Dopo gli studi teatrali, ho incontrato il clown, la giocoleria e la strada, integrandoli nel mio percorso professionale, e i miei primi spettacoli sono stati di teatro comico di strada.
Insieme, però, continuava la mia ricerca sul comico d’autore, producevo altri spettacoli e partecipavo a tour di prosa classica. Ho sempre avuto interesse per linguaggi diversi.
Qual è la situazione attuale di questo mondo in Italia?
Negli ultimi 15 anni la giocoleria e la clownerie sono esplose. Sono nate scuole di teatro-circo e nuovi artisti si specializzano. Da un lato ricerca e sviluppo delle arti circensi permettono un confronto stimolante, dall’altro il nostro Paese vive una sorta di sovraesposizione.
Mi capita (aimè, troppo raramente) di fare spettacoli in strada a cappello, come ai vecchi tempi. La situazione è differente da allora, le piazze sono piene di artisti in attesa di esibirsi. Esistono organizzatori di festival improvvisati e il livello si appiattisce verso il basso, perché manca una vera direzione artistica. Prevale l’obiettivo di riempire strade e piazze con chi accetta condizioni non professionalizzanti e il settore del teatro di strada ne risente.
Parlaci della genesi e delle aspettative del tuo spettacolo, “Fino a 100”.
Rappresenta una tappa importante, perché debutto con testi miei. Il 21 aprile uscirà anche il libro, dal quale sono tratti i testi dello spettacolo. Da anni scrivo, rispondendo alla necessità di “far uscire” emozioni, immagini, storie e personaggi. Ho tenuto tutto chiuso nel cassetto perché non mi sentivo pronto o all’altezza. Quando ho capito che il principale ostacolo alla realizzazione del progetto ero io, ho smesso di frenarmi e ho trovato il coraggio di uscire allo scoperto. Questo anche grazie a Mila, la mia compagna, e al metodo Grinberg.
Non sono un lettore vorace, però amo scegliere le parole. Ho un modo mio di “stare nelle parole”, in forma spontanea, giocosa, disordinata e istintiva.
Nello spettacolo mi misurerò con un aspetto nuovo e intimo. Quando interpreto un personaggio scritto da altri c’è comunque un distacco, invece nella misura in cui vado in scena con scritti miei, accade qualcosa di identitario, si perde il confine tra l’aspetto autorale e quello attorale.
“Show Cap” ti vede invece nel ruolo di voce narrante: cosa vuol dire per un attore nascondere il proprio corpo, la propria fisicità, per diventare solo espressione vocale?
Sia nella vita sia nel teatro, il corpo ha per me un valore centrale, il luogo dove nascono le emozioni. Mi piace curare letture dal vivo o registrate, ho fatto degli speech per documentari e video, insegno dizione e lettura espressiva. Mentre leggo, quello che dico nasce da emozioni e sensazioni che non vengono generate nella parola, ma nel corpo. Perché una lettura sia viva e perché la voce non risulti staccata dalle emozioni, la tratto come un prolungamento del corpo.
Quando insegno teatro amo ricordare che al momento della nascita prima esce il corpo e poi si sente il pianto del neonato. Nel teatro la situazione è identica: se prima della parola non c’è attenzione al corpo, la voce potrebbe risultare non pienamente espressiva.

Tra i tanti spettacoli e progetti realizzati, quale ti ha dato maggiori soddisfazioni, a quale ti sei legato di più?
Anziché uno spettacolo mi piace ricordare una figura che è stata rivelatoria e ha cambiato il modo di leggere la realtà: il clown. La maschera più piccola del mondo (come la definiva Jacques Lecoq) non è propriamente un personaggio, ma uno spirito che ognuno ha in sé. È la nostra parte più innocente e giocosa che in età adulta può dialogare con difetti e paure, trasformandoli in risorse comiche. Il clown mi ha insegnato a ridere di me e dei limiti, giocando con loro.
Clownerie e giocoleria possono rivestire un ruolo importante nella didattica così come nella terapia: qual è la tua opinione?
Sono anche formatore dei clown di corsia ed è riconosciuto dalla scienza che ridere non solo fa bene al cuore, ma induce un rilascio di sostanze salutari nell’organismo. La risata è un elemento importante a livello terapeutico, è dimostrato.
Nello specifico il clown è la figura che più di ogni altra rompe schemi e barriere. È comprensibile a ogni persona, di qualunque età, provenienza, estrazione sociale e cultura. Le risate scaturiscono dal modo con cui il clown si rapporta al senso di morte, ai difetti, alle incapacità, cioè giocandoci. Non è un caso che questa figura si diffonda in ambienti di difficoltà come ospedali, luoghi di guerra o di povertà. E arriva al cuore di tutti, perché tocca corde recondite e viscerali che accomunano tutti.
Guardando avanti, hai nuovi progetti?
Le novità in cantiere sono tutte collegate alla fase attuale. Fondamentale è stato l’incontro col metodo Grinberg: Mila, operatrice del Metodo da nove anni, mi ha aiutato a sentire che nel corpo stavo frenando la realizzazione di “Fino a 100”. Gli esercizi mi hanno spinto a sbloccare il senso di inadeguatezza, ho avvertito un’energia che mi dava il coraggio di procedere.
A luglio inizierò i corsi tenuti dal fondatore, Avi Grinberg. Il metodo si basa sull’attenzione al corpo e rappresenta una miniera di stimoli che integro nell’insegnamento. Assieme a Mila conduco percorsi di formazione, nei quali far dialogare gli esercizi di training fisico teatrale e di espressività del corpo.
Nella stagione estiva poi sarò di nuovo giullare per le piazze e mi dedicherò anche alla ricerca sul dialetto romagnolo come lingua di scena. Due capitoli che richiederebbero approfondimenti ma… non divaghiamo!
Un caro amico pittore, Fabrizio Pavolucci, ha coniato un detto che uso spesso per dire che mi occupo di tanti progetti insieme: “Otto cose alla volta, non di più”.
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Prevendite “Fino a 100”: http://www.liveticket.it/finoa100