C’è Liszt, c’è Mendelssohn, c’è Schumann. Ma accanto ai grandi tedeschi e all’ungherese, a impreziosire il repertorio cameristico tardo-romantico ci sono anche gli italiani: Marco Enrico Bossi ed Ermanno Wolf-Ferrari, tanto per citarne due.
E sono proprio gli autori italiani i protagonisti del progetto di riscoperta che il Trio Archè, alias Francesco Comisso (violino), socio della filiale di Venezia, Dario Destefano (violoncello) e Francesco Cipolletta (pianoforte), porta avanti da anni; un progetto coronato dall’uscita nel 2018 per Brilliant Classics di “Bossi Piano Trios”, un unicum nel catalogo dell’etichetta olandese.
Marco Enrico Bossi (Salò 1861- Oceano Atlantico 1925), compositore di spiccata personalità a cavallo tra due secoli, 800 e 900, si fece interprete di una concezione musicale transnazionale che, di fatto, inaugurò la grande produzione tardoromantica della musica da camera italiana, fino a lui praticamente inesistente.
Il Trio Archè sarà inoltre protagonista al Verona Festival, con i due meravigliosi trii di Mendelssohn (op. 49 e op. 46), venerdì 15 giugno alle ore 21:00 presso Villa Giona a S. Pietro in Cariano (Vr).

Francesco Comisso, come e quando nasce il progetto di un disco dedicato alla produzione cameristica di Bossi?
Nel 2016 siamo stati contattati dalla rivista Amadeus per un servizio sul Trio Archè e la produzione di un disco in allegato. È stato il produttore discografico Raffaele Cacciola che, percependo con saggia intuizione una sorta di affinità elettiva fra il linguaggio di Marco Enrico Bossi e la cifra interpretativa del Trio Archè, ci ha suggerito queste due opere a noi allora del tutto sconosciute. Il consiglio di Raffaele è stato lungimirante in quanto il nostro trio, che dalla sua fondazione si è dedicato principalmente al grande repertorio romantico e tardo-romantico, ha trovato in Bossi non solo la possibilità di praticare un linguaggio interpretativo del tutto spontaneo, ma anche di porre l’accento sull’italianità della nostra formazione.

Dal 2014 sei entrato a far parte del Trio Archè. Com’è il tuo rapporto con gli altri componenti, Dario Destefano e Francesco Cipolletta?
Ciò che sto per dire mi condannerà sicuramente a qualche settimana di sfottò da parte loro, che fan di tutto per non apparire dei sentimentali. Sono fermamente convinto che sia impossibile pensare a una qualsiasi formazione cameristica che non sia nata da un’amicizia. Si decide di suonare insieme se c’è un’affinità umana prima che musicale. Per me è stato senz’altro così. È nell’amicizia, prima ancora che nella musica, chealbergano stima, rispetto, ascolto, desiderio di ridere e divertirsi insieme e anche comprensione delle debolezze altrui. Valori che portano ad intraprendere un percorso comune, a giocare (to play, ndr) in squadra, a lottare assieme per una stessa nobile causa. Non a caso la parola “concerto” deriva dal latino cum certare, ovvero, combattere assieme. Pur avendo personalità (Dario le chiamerebbe follie) totalmente diverse, il Trio Archè è diventato per me il luogo d’incontro ideale, in cui la monumentale natura musicale di Francesco e il rigore e la saggezza interpretativa di Dario sono inesauribili opportunità di crescita musicale e umana.
Il suono come principio generatore (dal greco archè). Come ti poni, in quanto violinista, dal punto di vista filologico della sua resa acustica? Bisogna andare alla ricerca del suono originale oppure attualizzarlo ai nostri tempi?
Per me la filologia non è esattamente decidere se suonare con corde di budello o sintetiche, con arco moderno o barocco. L’etimologia della parola dice che si tratta di amore verso un pensiero, quello del compositore. Il suono diventa allora il mezzo attraverso il quale veicolarlo. Credo quindi che la volontà di un autore detti legge sulle velleità narcisistiche di un interprete e che la sua osservanza conduca a una terza via che contempli in qualche modo entrambe le cose: attualizzarla ai nostri tempi nel rispetto assoluto dell’idea originale. L’idea del suono, nel caso di una formazione cameristica come il Trio Archè, deve assolutamente essere un’idea comune, sviluppata e portata avanti con l’intelligenza dell’ascolto e mantenuta coerente con l’anima del compositore che si decide di eseguire.
Al momento della scelta, da giovane studente, cosa ti ha fatto propendere per il violino?
Il desiderio di suonare i trii di Bossi! Scherzo. In tutta sincerità posso dire che ero troppo giovane per una scelta consapevole, ma l’esser cresciuto con la fatica quotidiana dello studio ha fatto sì che esso sia diventato assieme alla musica un elemento inseparabile della mia esistenza. E per questo non posso che essere grato ai miei genitori.
La cultura musicale italiana è molto legata alla sua grande tradizione. Credi che ciò possa essere un limite oppure uno sprone, sia dal punto di vista della proposta concertistica, sia sul versante della nuova produzione originale?
La cultura musicale italiana è molto legata alla tradizione operistica. Dalla seconda metà del Settecento in poi, escludendo la magnificenza del repertorio barocco, la musica puramente strumentale italiana, sia essa sinfonica o cameristica, è stata totalmente ottenebrata dal melodramma e lo stesso Bossi fu vittima di una sorta di iconoclastia profusa dai giganti della lirica nei suoi confronti. A tutt’oggi, nei piani di studio o nei programmi di sala, vedere i nomi di Casella, Busoni, Respighi, Martucci, Bossi, Wolf-Ferrari è abbastanza raro.
Noi con il Trio Archè cerchiamo di valorizzare questi autori affiancandoli spesso, nei nostri concerti, ad opere di autori più conosciuti. La stessa linea l’abbiamo adottata nella produzione discografica. Ad agosto uscirà, sempre per Brilliant, un disco con i due introvabili trii di Ermanno Wolf-Ferrari. È un tentativo di far capire che c’è tanta musica strumentale bella e italiana.
Un giovane artista (musicista o compositore) italiano sul quale punteresti.
Gioco un ambo su due compositori: il pesarese Paolo Marzocchi, che è anche un superbo pianista concertista, e il veneziano Mauro Lanza, borsista a Villa Medici 2007 e internazionalmente riconosciuto come uno dei più grandi compositori contemporanei. Due autori diversi dal punto di vista stilistico ma accomunati da un’impressionante cultura musicale e da una geniale e vitale vena ironica che permette all’ascoltatore delle loro opere di avere finalmente uno sguardo ottimistico e più ben disposto nei confronti della nuova musica.
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