Ex-Otago, ovvero: la vendetta dei synth. La parafrasi del celebre terzo episodio di Star Wars è suggerita dall’andazzo della nuova musica italiana, la stessa tipologia proposta da The Giornalisti, Lo Stato Sociale, I Cani. Le tastiere, negli Ex-Otago, sono state sostituite dai synth, entrati prepotentemente nel sound del gruppo genovese con l’ultimo album “Marassi”. Lavoro che ha avuto un riscontro superiore a qualsiasi attesa, vendendo circa 10mila copie. Se infatti la semina continua dal 2002, con quattro album alle spalle permeati da uno spirito lo-fi, il cambio di marcia è stato fatto in ottica più pop oriented. Una scelta che forse ha portato la band sul palco di Sanremo.
Ecco un estratto dell’intervista che verrà pubblicata integralmente sul prossimo Doc Magazine.
Che emozioni vi dà la partecipazione a Sanremo e come lo avete vissuto, da spettatori, fino ad oggi?
I primi ricordi del Festival di Sanremo risalgono all’immortale Pippo Baudo, a Luca Barbarossa, ad Anna Oxa vestita da superpunk. Non avremmo mai immaginato un giorno di poter arrivare all’Ariston: per noi il Festival rappresenta una grande soddisfazione, la dimostrazione che ci sia qualcosa di buono in ciò che abbiamo fatto finora. Ci andiamo con uno spirito combattivo, ma non nel senso della competizione: faremo come ci siamo comportati in questi 15 anni, suoneremo come se fosse l’ultima volta.
Che brano è “Solo una canzone” che presentate in gara? Com’è nato?
“Solo una canzone” parla di un amore non più giovane e di come si possa coltivare una curiosità affievolita dal tempo. É una ballatona emotiva e autentica, parla di un aspetto dell’amore un po’ inesplorato e scomodo, ma realistico e quotidiano. Ci è venuto spontaneo raccontare la bellezza di un legame trasparente, che non si sgretola alla prima difficoltà, perché tutti noi stiamo vivendo relazioni lunghissime.
La stampa ha parlato molto di svolta “indie” di questo festival. Che ne pensate? Ha ancora senso la distinzione tra indie e circuito mainstream?
Noi non amiamo molto l’etichetta di indie. Facciamo pop dal 2002, e per quei tempi era una cosa un po’ inedita. Sta succedendo tuttavia che, per fortuna, si stanno abbattendo alcune barriere, sia di genere che di etichetta. E questa è una cosa bellissima, perché crediamo che in questi ultimi anni il festival possa vantare un’aria veramente più fresca, autentica e potente. Questo Sanremo darà voce a tante “Italie” che fanno grandi numeri e sono seguite, ma che fino ad oggi non erano mai riuscite ad arrivare su quel palco. Questo succede anche nel nostro piccolo: il fatto che pezzi come “Quando sono con te” e “Cinghiali incazzati”, passino in radio 2, 3 volte al giorno, ci dà grande speranza.
Al festival duetterete con Jack Savoretti e avete partecipato a “Un’estate ci salverà”, la canzone di Max Pezzali. Come sono nate queste collaborazioni e quanto è importante per voi il confronto con altri musicisti?
Jack Savoretti è un artista anglo-italiano con cui condividiamo le radici genovesi: tra di noi c’è stata fin da subito una grandissima alchimia da punto di vista musicale, dalla prima nota suonata assieme abbiamo amato la sua voce maestosa e il suo sound internazionale. “Un’estate ci salverà” è invece un brano che hanno scritto a quattro mani Maurizio e Max, e che racconta un’Italia che non cambia mai attraverso il linguaggio dei tg, come i servizi sul caldo, la gente al mare e i consigli per gli anziani. Max Pezzali è una colonna della nostra adolescenza, chi non avrebbe mai voluto collaborarci? Il confronto con gli altri musicisti? Per noi non esistono gare!