“Quello che tuo è mio, quello che è mio è mio” era l’adagio che i critici del comunismo italiano ripetevano per irridere il modello auspicato da Gramsci. Storia dell’altro secolo, ma l’adagio deve avere ispirato i Big Player della gig economy quando si tratta dei creativi, per cui “quello che tu crei ed è sulla mia piattaforma, è mio. Quello che io ci guadagno è mio”.
Martedì 26 marzo il Parlamento Europeo ha deciso che nell’Unione Europea non dovrà essere più così. Ha votato infatti, nella direttiva Copyright, il principio che i creatori dei contenuti devono essere retribuiti per il loro lavoro, quando questi generano ricchezza sulle piattaforme digitali.
Una rivoluzione? A dire il vero nell’economia tradizionale si tratta di un’ovvietà. Se scrivi un articolo per una testata cartacea, se fai un concerto live, uno spettacolo o un corso di formazione, vieni retribuito. Per l’economia digitale invece si tratta di una rivoluzione. Per chi, come Doc, vive di e per la creatività, è una rivoluzione fondamentale che continueremo a monitorare, visto che si tratta della prima fase di una modifica che prevede un lungo percorso legislativo.
Un uomo è la sua forza lavoro – altro adagio dello scorso secolo. L’Assemblea di Strasburgo ha detto che in questo secolo le donne e gli uomini sono anche le loro intelligenze, la loro creatività, il loro estro, e che questo deve essere riconosciuto ed equamente distribuito, quando genera ricchezza sulle piattaforme digitali.