Il grande pubblico lo ricorda per il tormentone “Vorrei cantare come Biagio Antonacci”, brano spensierato ma al tempo stesso pungente, cifra stilistica di un percorso che lo ha visto evolversi e affermarsi nel panorama della canzone d’autore italiana.
Stiamo parlando di Simone Cristicchi, artista della parola e del gesto (teatrale), che nel suo lungo percorso ha ottenuto numerosi e prestigiosi riconoscimenti (Musicultura, Premio Lunezia, Charlot, Carosone, Amnesty Italia). Autore di hit dall’inconfondibile marchio di fabbrica e con una discografia che va dal debutto di “Fabbricante di canzoni” all’ultimo “Album di famiglia” del 2013.
La sua formazione poliedrica (allievo in gioventù del grande vignettista Jacovitti) e l’interesse per alcune tematiche come quella degli ultimi, degli esclusi, hanno avvicinato sempre più la poetica di Cristicchi al mondo e alla forza immaginifica del teatro. Nascono così “Centro d’igiene mentale”, “Li romani in Russia”, “Mio nonno è morto in guerra”, “Magazzino 18” e poi nel 2015 “Il secondo figlio di Dio”, dedicato al predicatore italiano ottocentesco Davide Lazzaretti.
La recente nomina a direttore artistico di un teatro stabile lo porta ad un nuovo punto nella sua carriera, una sintesi tra creazione artistica e programmazione culturale.
Iniziamo con la tua nomina a direttore artistico del Teatro Stabile Abruzzese. Il 21 dicembre scorso hai presentato il tuo programma d’intenti, che punta sul teatro civile, teatro a km zero e musica popolare. Puoi spiegarci la tua idea di teatro e cosa intendi portare a L’Aquila?
La mia intenzione è di puntare su queste due parole, lentezza e bellezza, con un teatro che possa tornare alla sua essenza di racconto orale, l’attore con una storia da raccontare e poco altro. Tutta la magia del teatro nasce da questo, dal porre al centro la fisicità dell’attore e la storia che va a raccontare. Io provengo dal teatro civile e dal teatro di narrazione e, visto che mi è stato affidato tale incarico, credo che chi mi ha voluto come direttore si aspetti un’impronta di un teatro in evoluzione.
“Il Secondo Figlio di Dio” è il tuo primo romanzo. Chi era David Lazzaretti e perché hai deciso di raccontare la sua storia?
Lazzaretti è vissuto a metà Ottocento in Toscana. È stato un predicatore, mistico e visionario, una figura poco conosciuta in Italia. Ho conosciuto la sua storia frequentando il territorio dove lui predicava, il monte Amiata, tra Siena e Grosseto, e ho deciso di raccontarla perché, a parte la divulgazione di questo personaggio che merita di essere conosciuto, all’interno della sua storia ci sono tematiche molto attuali. Per farlo utilizzo, come ho sempre fatto nei miei spettacoli, una vicenda che possa avere agganci con l’attualità.
Il libro è diventato anche uno spettacolo (in tour dal 2016), la cui prossima tappa sarà il 4 febbraio al Teatro di Moncalvo nell’astigiano. Di che spettacolo si tratta?
Lo spettacolo è un monologo in cui interpreto vari personaggi. L’ho definito un musical con un solo attore in scena. Insieme a me sul palco c’è un oggetto scenico, un barroccio (la riproduzione di un carro ottocentesco), una macchina teatrale che si trasforma in continuazione dall’inizio alla fine dello spettacolo. Lo spettacolo ha un impatto scenico molto forte, nonostante non ci sia altro in scena, così come forte è il potere immaginifico della scenografia e della storia raccontata.
Contemporaneamente sei in tour con altri due spettacoli: “Mio nonno è morto in guerra” ed “Esodo”. Un tema, quello dell’esodo a cui sei particolarmente legato. Puoi spiegarci perché?
Tutte le mie ricerche partono da una forte curiosità personale, la voglia di riempire alcune “lacune” della mia conoscenza. Quando visitai per la prima volta un manicomio riimasi molto colpito e volli andare in fondo con una ricerca specifica. Così è successo con “Magazzino 18”. Questo luogo si trova nel Porto vecchio di Trieste e in qualche modo è il simbolo di una vicenda che, purtroppo, ancora oggi in pochi conoscono: l’esodo degli istriani, fiumani e dalmati nel dopoguerra. Molte delle mie ricerche partono dall’incontro con luoghi molto particolari e proseguono raccogliendo testimonianze. A me piace molto parlare con le persone che vi hanno vissuto. “Magazzino 18”, per esempio, è stato costruito anche grazie all’aiuto di Jan Bernas, giornalista autore di “Ci chiamavano fascisti, eravamo Italiani: istriani, fiumani e dalmati”, che nel tempo ha raccolto testimonianze orali di chi aveva subito l’esodo.
Profughi, matti, eretici. Nei protagonisti del tuo universo artistico ci sono molti “ultimi”, gli stessi raccontati da Fabrizio De André. Il tuo spettacolo “La Buona Novella” testimonia una sorta di continuità e affinità di intenti con Faber…
Io riproduco “La buona novella” con un’orchestra sinfonica ed un coro di 50 ragazzi, quindi il risultato è abbastanza diverso dal disco di De André, soprattutto nell’approccio musicale. Il mio apporto è stato scrivere un monologo inedito, che si chiama “A volte ritorno”, la storia del ritorno di Gesù Cristo nel mondo di oggi. Una sorta di via crucis moderna, della quale si troverà a vivere tutte le stazioni: il carcere, il manicomio, la strada, i barboni, gli immigrati, il mondo degli invisibili.
Il tuo ultimo disco risale al 2013. In vista di Sanremo che ti ha visto tante volte protagonista, non posso evitare di chiederti quando uscirà un tuo prossimo lavoro. O il teatro al momento ha la priorità?
Per il momento non ci sono dischi in uscita perché le canzoni che sto scrivendo sono destinate ai miei spettacoli, anche se non è detto che in futuro non torni a pubblicare un album. Devo dire che in questi ultimi cinque anni, il teatro ha rappresentato la mia vita, il mio percorso principale. All’inizio è stato molto faticoso riuscire a crearmi una credibilità. Ora invece, grazie anche al successo trionfale di “Magazzino 18” – è stato visto da più di 200.000 spettatori – posso continuare questa strada con più tranquillità, con uno zoccolo duro di pubblico che mi segue e che tutt’ora continua a riempire le sale. Sanremo invece è per ora distante. Mi piacerebbe un giorno tornarci, magari con una canzone potente come fu “Ti regalerò una rosa” nel 2007.
http://www.simonecristicchi.it