A Sanremo si è portato a casa il Premio della critica Mia Martini, quello della sala stampa Lucio Dalla e quello come miglior testo. Ora, a distanza di pochi mesi, “Argento vivo” vince anche la Targa Tenco come miglior canzone singola. Un brano potente, bellissimo, che è riuscito ad arrivare, se non a tutti, a molti. Sullo scorso Doc Magazine dedicammo uno speciale a Sanremo e ad Argento Vivo, che ha coinvolto i soci Enrico Gabrielli (direttore d’orchestra, compositore, produttore) e Fabio Rondanini (polistrumentista, compositore e arrangiatore, fondatore dei Calibro 35), all’Ariston, rispettivamente sul podio e sul palco, con Daniele Silvestri, Rancore e Manuel Agnelli. Riproponiamo qui un estratto dell’intervista doppia.
Com’è stato il vostro Sanremo?
Enrico: Sembrerà una cosa strana, ma Sanremo è una specie di mondo parallelo a quello reale. Quando si entra sembra la cosa più importante del mondo, poi quando ne esci ti sembra una baracconata. Mi sembra di aver fatto una cosa divertente, molto faticosa, con strani giochi in campo di stress, forse totalmente ingiustificati. Le case discografiche sembrano tornate ai vecchi fasti: sono lì che decidono quando invece non hanno più il peso di una volta. Un mondo un po’ fantastico, ma poi si torna alla vita reale.
Fabio: È stato bellissimo e del tutto inaspettato. Non avevo nessun progetto in vista. Poi si è presentata l’occasione con Daniele, con il quale collaboro già da anni. Il pezzo nasceva già per batteria e orchestra per cui è stato naturale immaginare una performance come quella che abbiamo portato sul palco dell’Ariston. È stato un Sanremo molto speciale, soprattutto perché facevo me stesso, non ero in orchestra. Sebbene abbia fatto tante cose, quel palco scotta davvero tanto. È una cosa culturale, credo, per noi italiani. Poi lo vedi crescere da zero, o quasi, fino al risultato finale. Mi ha agevolato molto aver partecipato con degli amici, Daniele e Manuel. La loro squadra è davvero fortissima. Poi era pieno di amici: Dellera, Cipollini, Enrico Gabrielli, gli Zen Circus. Dopo il festival ci ritrovavamo tutti al bar dei croupier del Casinò, un bar privato per i dipendenti del casinò.
Enrico, sei soddisfatto del risultato di Argento Vivo?
Io sono contentissimo e stupito del fatto che sia arrivato alla gente. È un brano con tutte le carte in regola per non avere nessuna efficacia. Non c’è un ritornello, è molto parlato, ci sono dei pezzi in cui non canta nessuno, c’è un blocco di 30 secondi dove nessuno fa niente. Anche dal punto di vista del contenuto: ha tanti sensi nascosti e tanti risvolti simbolici. Non avrei mai pensato che arrivasse così, con questa forza. In effetti era il brano più complesso e non era affatto scontato che arrivasse alla gente. E io credo che il merito principale sia di Daniele. Lui è capace, da sempre, di usare Sanremo come un megafono. Riesce con astuzia, intelligenza, senza retorica ma usando anche i mezzi di comunicazione di massa a dire quello che ha in mente. E lo fa in modo chiaro, molto semplice, anche se a volte sembra sofisticato. È una capacità che hanno in pochi, sia della sua generazione, sia di quella attuale.
Come mai il brano ha vinto tutti i premi possibili tranne il podio? Al di là delle logiche di televoto, perché la canzone col miglior testo, arrangiamento, performance, non è salita sul podio?
Fabio: Non è una scienza esatta. Noi al podio non abbiamo pensato neanche per un istante; vincere non era proprio la nostra missione. Il meccanismo di Sanremo è quello e va bene così. “Argento vivo” è un pezzo scuro, difficile da interpretare. Infatti molti giornalisti non l’hanno proprio capito: pensavano parlasse di carcere minorile. E se non l’hanno capito loro, figurati il pubblico. Quindi non avevamo aspettative. In alcuni colleghi a un certo punto scatta la gara. Noi siamo stati sereni, molto emozionati, sì, ma tranquilli. Forse abbiamo sentito un po’ più di tensione alla serata dei duetti, ma siamo davvero felici.
Enrico: Perché è così, perché ci sono dei piani di appoggio culturali molto diversi, per cui quello che è meglio per una questione di natura critica, non è detto coincida con quello che è meglio dal punto di vista popolare. Chi l’ha detto che deve essere così? Le cose che piacciono ai più normalmente hanno dei grandi pregi ma anche grandi difetti. Non a caso il fatto di essere “di massa” ha spesso una connotazione negativa.
L’intervista completa è sul Doc Magazine n. 27 pp. 19-21.
Foto in copertina di Gian Mattia D’Alberto/LaPresse.